venerdì 28 novembre 2008

Social Housing a Orta Nova


Ci sono delle questioni irrisolte che si ripetono nel tempo con la temerarietà della disperazione. Storie senza nessuno spiraglio positivo, tranne l’affannarsi quotidiano per “tirare avanti”, un motto triste ripetuto troppe volte dalle nostre parti. E spesso inascoltato.
Le preoccupazioni di una comunità si fermano sovente alla notizia di cronaca, senza il minimo sforzo per capire cosa c’è dietro. Che sia il centro o la periferia di un paese, le storie di disperazione tendono ad essere isolate, ad essere relegate in contesti precisi, delineati. Quasi ghetti abitati da disperati che hanno ormai imparato a convivere con il destino, opposto ad ogni forma di protezione sociale.
Sono stati coniati nuovi termini. Proposti frequentemente attraverso inglesismi astrusi ai più: social housing, ad esempio. Edilizia sociale. Ovvero, tutta quella gamma di programmi per il sostegno all’“offerta sociale di abitazioni”, avviata all’inizio del secolo scorso, nel 1904, con la legge Luttazzi.
Secondo il Comitato di coordinamento europeo dell’alloggio sociale CECODHAS, social housing significa offrire “alloggi e servizi con forte connotazione sociale, per coloro che non riescono a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato (per ragioni economiche o per assenza di un’offerta adeguata) cercando di rafforzare la loro condizione”. Certo, almeno in teoria. Perché, spesso, le difficoltà amministrative dei comuni non consentono di programmare concretamente misure di “recupero” edilizio per le fasce deboli, dunque operazioni di recupero essenzialmente sociale.
Il Comune di Orta Nova è tra questi. E il caso di cronaca del “crollo di un solaio” –una notizia, in verità, assai sottaciuta a fronte della portata dell’interesse che avrebbe potuto suscitare negli osservatori più avveduti-, racchiude all’interno un intero universo di storie familiari e cattiva gestione amministrativa.
Quelle due palazzine a due passi dalla stazione ferroviaria di Orta Nova stanno lì, quasi come cimeli del sistema di protezione sociale palesemente fallito. Le dodici famiglie che vi abitano, hanno dovuto sopportare situazioni che mettono a dura prova la dignità umana.
C’è gente che vi abita da più di dieci anni. Altri hanno abitato per brevi periodi, in attesa della definitiva stabilizzazione in altri posti. Nonostante lo stato di precarietà degli stabili e la particolare fatiscenza di uno dei due edifici.
La vicinanza della ferrovia non è casuale. Infatti, per molto tempo le abitazioni sono state assegnate dalle Ferrovie dello Stato ai propri dipendenti. Fino a quando la stazione di Orta Nova non ne ha avuto più bisogno. Usciti i dipendenti, entrati gli abusivi. Una formula semplice, maturata nel totale disinteresse –forse di comodo- delle amministrazioni succedutesi nel tempo, al di là delle appartenenze politiche.
E pensare che fino a qualche anno fa non esisteva nemmeno la registrazione catastale. Neanche l’acqua. “Stiamo qui da oltre dieci anni –spiega un inquilino- e abbiamo sopportato di tutto. Ci siamo accollati, qualche anno fa, le spese della costruzione del pozzo per l’acqua. Circa 200 euro a famiglia. Venne un costruttore dal Barese a farcelo”. Qualcuno ha pensato bene di allacciarsi abusivamente alla rete dell’acquedotto. E la AqP ha contestato tutto, chiedendo esplicitamente che gli venissero pagate le bollette arretrate. Richiesta vana. Le cifre sono enormi e nessuno può permettersi di pagarle.
Dopo pochi anni, però, il pozzo cede: l’azienda barese viene richiamata ed è costretta a riparare il danno senza alcuna retribuzione.
Le amministrazioni, succedutesi negli anni, si “sforzano” di dimenticare il problema, che intanto si gonfia. Le famiglie che abitano i due stabili, seppure nelle condizioni più pietose, non vogliono lasciarli. Le infiltrazioni dell’acqua penetrano tra i muri, fino alle fondamenta. “Se decido di farmi la doccia –racconta un altro abitante- devo avvisare chi sta di sotto, perché l’acqua filtra nel pavimento e arriva direttamente nel bagno sotto. Qualcuno non ci crederà, ma la situazione è davvero questa e nessuno esagera nel raccontare”.
I più fortunati si sono sistemati e adesso si può dire vivano in appartamenti decenti. Anche se c’è stato un momento terribile, d’estate e senz’acqua. Quell’estate, è stato determinante l’ausilio dell’hotel sulla S.S.16, situato proprio di fronte alle due palazzine. “Andavamo al Novelli a prendere l’acqua –raccontano con il piglio di chi ricorda con l’amaro in bocca-, riempivamo bottiglie e secchi e portavamo a casa. Molti usavano quella stessa acqua per bere, perché non potevano, e tuttora non possono, permettersi di comprare le confezioni nei supermercati”.
La lieve svolta arriva poco tempo fa. Proprio subito dopo la notizia di cronaca. Nel crollo del solaio, fortunatamente, nessuno è rimasto ferito. La misura provvisoria adottata dal sindaco Giuseppe Moscarella, è stata un’ordinanza di sgombero. Provvisoria perché non esistono alternative a qual posto. Non c’è una programmazione adeguata neanche per il futuro. Dopo l’ordinanza, le famiglie sono state trasferite i due alberghi, prima del definitivo ritorno a casa. Avvenuto dopo un tacito accordo con il sindaco Moscarella, il quale si sarebbe impegnato al fine di mettere in sicurezza le palazzine. E così è stato. I lavori sono iniziati e i muratori stanno procedendo celermente. Era l’unico modo per sciogliere questo intricatissimo nodo. Anche se il problema continua ad esistere. Almeno fino a quando non si provvederà ad adottare un piano edilizio concreto.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Hai ragione sul fatto che Orta Nova, e non solo, necessita di un piano edilizio sociale, ma ciò non toglie che questo caso faccia sorgere degli interrogativi: Di cosa vivono queste 12 famiglie? Perchè si trovano in questa situazione? E' giusto che noi, normali cittadini, paghiamo la bolletta dell'acqua e loro no(il che fa lievitare la NOSTRA bolletta)?E' giusto che un lavoro di ristrutturazione sia pagato per intero dal Comune(ossia da noi cittadini, e non certo dal sign. sindaco)? Credo che ci sia bisogno di trovare le cause del disagio e del malgrado; anche la casa popolare, per quanto imopotante, può diventare un semplice tampone e non la soluzione.