lunedì 19 marzo 2012

Il Vaticano può salvare il Don Uva?

“Dal 2004 in poi, il Don Uva ha perso mediamente 20-30 milioni di euro ogni anno”. Nell’ultimo piano industriale, è riportato l’indebitamento totale: 324.795.041 euro. Una cifra monstre, alimentata dalla perdita d’esercizio di oltre 30 milioni di euro del bilancio 2010. E pensare che, nel 2004, ai tempi del governatore Raffaele Fitto, con un accordo si riportò la situazione in pari attraverso il pagamento all’Inps di 32 milioni di euro. “Ripartì quasi da 0”, ci viene riferito da tecnici particolarmente informati sulle vicende. “I crediti verso clienti – è riportato nel piano industriale presentato qualche settimana fa alla Regione Puglia -, ammontano a 87.237.981 euro: si tratta di crediti vantati nei confronti di Asl ed enti pubblici per prestazioni sanitarie erogate dall’ente. Questi crediti, si distinguono così: 38.479.349 euro per crediti entro 12 mesi (si tratta di crediti correnti risultanti da fatture emesse o da emettere sulla base di tariffe riconosciute e che non abbiano superato la scadenza di incasso da oltre 180 giorni); 48.758.632 euro per crediti oltre 12 mesi (si tratta di crediti in contenzioso per parte dei quali sono state avviate azioni di recupero legale)”. Questo per quanto riguarda le somme da recuperare. Molto più disastrosa, invece, la situazione in uscita. “I debiti totali – scrivono nel documento ufficiale – sono così divisi: 26.588.761 euro per debiti verso le banche; 42.602.173 euro per debiti verso fornitori già scaduti o con scadenza entro 12 mesi; 72.735.329 euro per debiti tributari (si tratta di debiti maturati per effetto della sospensione dei versamenti delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente in attuazione di specifiche norme prorogate annualmente fino al 31 dicembre 2011); 176.621.205 euro per debiti verso enti previdenziali ed assicurativi (si tratta di debiti maturati per effetto della sospensione dei versamenti dei contributi e ritenute previdenziali e di premi Inail in attuazione di specifiche norme prorogate annualmente); e 6.247.574 euro di altri debiti”. I costi di produzione sono di gran lunga superiori rispetto al valore della produzione. Ed un elemento su tutti spicca per la rilevanza sui conti: il personale. “All’interno dei costi di produzione – si precisa infatti nel documento – i costi del personale sono di 79.603.848 euro cui vanno sommati 6.619.621 euro per il servizio infermieristico esterno”. Basti pensare che i costi per i servizi – elemento sempre piuttosto rilevante – si fermano a 37.818.859 euro. “Bisceglie è la causa principale – ci viene detto -, per l’eccesso del personale di 443 unità. I calcoli sono chiari: l’indebitamento è la conseguenza delle scelte sul personale, nient’altro. Anche perché, facendo una valutazione sull’esternalizzazione dei servizi, si può chiaramente sostenere che non costano molto”. Complessivamente, nelle tre strutture (Bisceglie, Foggia e Potenza), sono 674 i dipendenti in esubero. Sul totale di 1966 dipendenti, dunque, il bisogno reale sarebbe di 1439 dipendenti. Evidentemente, negli ultimi dieci anni, il tema è stato affrontato affidandosi a maglie le più larghe possibili. “Dagli anni Ottanta esiste un progetto di riconversione che non è stato mai attuato – ci viene riferito da fonti informate -, perché la Regione Puglia non è mai riuscita ad allinearlo con gli investimenti che venivano programmati nelle strutture per la realizzazione di hospice ed rsa. Non è un caso, infatti, che dopo gli investimenti, non ci sia stato l’adeguamento delle tariffe, fattore che ha contribuito ancor di più ad affossare l’Ente”. Per questo il Don Uva di Foggia sembra ormai un pachiderma senza controllo. Dall’analisi del Piano industriale, presentato il 21 febbraio in Regione e recuperato in esclusiva da l’Attacco, emerge un quadro dei conti disastroso. Si parla di “esuberi” del personale, che per il momento sono “limitati” a 179 (con molte precisazione che certamente verranno fatte dalla direzione generale nei prossimi giorni). In realtà, l’analisi dell’”ente ecclesiastico di natura privatistica, civilmente riconosciuto”, nelle tre sedi di Bisceglie Foggia e Potenza, è particolarmente difficile. Ma un punto sembra nevralgico, a tal punto da averne determinato il baratro economico: “La definitiva cessazione della funzione manicomiale del Don Uva – è riportato nel documento – ha posto il problema di una conversione e riqualificazione dei presidi di Bisceglie, Foggia e Potenza (non si considera la struttura di Guidonia nel Lazio che, presente nel periodo considerato, è stata ceduta nel 2002) con finalità di dare continuità assistenziale ai degenti di competenza psichiatrica e di salvaguardare i livelli occupazionali; a tale scopo, presso gli assessorati alla Sanità della Regione Puglia e della Regione Basilicata, sono stati costituiti due gruppi di lavoro che hanno elaborato progetti di riconversione, approvati rispettivamente con delibere del Consiglio regionale”. Tra i sindacati c’è fiducia nel salvataggio dell’istituto foggiano, grazie ai piani di mobilità e pensionamento. Ma il quadro non è dei migliori. E senza l’intervento della Regione, difficilmente il Don Uva potrà uscire dall’impasse di un debito enorme.

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