Addio alle Terme

La fontana del Foro romano guarda dritto alle Terme. Il pezzo di via Traiana meglio conservata svolta proprio dinanzi al reperto, per tirare dritto verso la Valle del Carapelle. Ma, percorso qualche metro in questa direzione, gli scavi di Herdonia si interrompono. Il terreno è alto un paio di metri e alla sommità vi è la coltre bruna di cenere della ristoppia.
Bisogna attraversare alcune decine di metri di terreno coltivato per trovare l’avvallamento sul quale, una volta, era adagiato il luogo di relax degli abitanti dell’importante centro romano. Adesso, lo stato di degrado sta compromettendo seriamente l’immenso valore di quell’area. Gli scavi, effettuati in parte negli anni Settanta, sono stati ripresi in grande scala a partire dal 1997 e dovrebbero essere tuttora in corso, “ragione per cui –scrissero in una pubblicazione a quattro mani Joseph Mertens e Giuliano Volpe- la conoscenza del monumento e del quartiere circostante progredirà nei prossimi anni”. Sì, ciao. Le colonne sono cadute come birilli e nessuno se ne preoccupa, per il momento. La descrizione dello studio è abbastanza dettagliata. “Il complesso termale è posto ad ovest della via Traiana –scrivono- il cui basolato è abbastanza ben conservato, ed è delimitato da strade perpendicolari, in modo da occupare un intero isolato. Finora sono stati individuati alcuni ambienti adibiti a varie funzioni. Tra quelli meno visibili (quelli scavati in precedenza sono stati ricoperti), si distinguono tre vani rettangolari di diverse dimensioni, di cui uno (scavato in parte) con un’abside sul muro di fondo, caratterizzati dalla presenza dei tipici pilastrini, quadrangolari o circolari (suspensurae), che servivano a sorreggere un pavimento rialzato, in modo da consentire la circolazione al di sotto di arie tiepida e calda (ipocausto)”. Proprio questi colonne che servivano a sostenere l’intera struttura, sono cadute al suolo dopo un lungo periodo di incuria. Non si possono davvero guardare le immagini che pubblichiamo per la prima volta. Si vedono i pilastrini completamente divelti e accasciati al suolo. Frantumati in più pezzi, sia quelli cilindrici che quelli quadrangolari. 

Gli antichi mosaici, una perla invidiabile, sono rosicchiati tutt’intorno. Consunti in superficie e distaccati quasi in blocchi ai lati. Non c’è rimasto quasi più nulla. Il telone poggiato sulla superficie squarciato lascia spazio al degrado che ha compromesso moltissime tessere. Si intravedono ancora, anche se in modo molto parziale, le sagome degli splendidi pesci azzurri, che nelle immagini dei primi scavi sono così accesi nella tonalità della colorazione. Allo stato attuale, sbiadiscono finanche le splendide pagine di Seneca che, nelle Epistole a Lucilio, dipinge in modo magistrale il funzionamento di quel luogo di distensione e di socializzazione al contempo. “Il complesso termale di notevoli dimensioni –conclude il saggio dei due studiosi- si estende anche oltre l’area indagata e sarà oggetto di scavi negli anni futuri in modo da poterlo rendere fruibile nella sua interezza”. Citano l’epigrafe splendidamente conservata nella masseria Cacciaguerra, su cui è riportato il nome dei due benefattori e la descrizione dell’intera struttura delle Terme. Il rettore dell’Università di Foggia, Giuliano Volpe, dovrà riflettere a fondo sullo scempio dello scavo che ha sempre voluto, sin da quando chiese il trasferimento dall’Università di Bari. Il tempo gioca brutti scherzi, che rischiano di rimandare le nostre radici all’oblio. Mai profezia fu tanto precisa come quella fatta, nel 2004, dal professor Mertens a Carlo Vulpio sulle pagine del Corriere della Sera: “Ho commesso un grave errore: avrei dovuto ricoprire tutto. Almeno così avrei salvato Herdonia”.

• La lettera di risposta del rettore dell'Università di Foggia
• L'articolo de l'Attacco