sabato 11 luglio 2009

La bella figura del G8 e il Grande silenzio


Praticamente tutti i mezzi di informazione "di peso" si sono espressi con termini che elogiano l'operato del premier dinanzi alle maggiori potenze modiali. Sullo sfondo, lo scenario della distruzione de l'Aquila, con l'immagine del volto segnato di Obama che tiene sottobraccio Berlusconi. Il Financial Times, che fino a ieri mostrava tutto il suo scetticismo rispetto al governo del nostro Paese, adesso chiama "statista" il Cavaliere. Sembra essere tornato tutto nella norma e risultano spazzate via le voci (messe in giro dall'inglese Guardian) di una possibile fuoriuscita dell'Italia dal G8. Una bella figura, certo. Ma che fine hanno fatto quei giornalisti, nostrani e non, che avevano incalzato Berluscuni fino a ieri l'altro? Non dovevano creare "imbarazzo" proprio con le domande più scomode durante le conferenze stampa del G8? Invece, come si legge sul pezzo di Gian Antonio Stella di oggi sul Corsera, si sono trasformati in zerbini ruspanti, al punto che Berlusconi avrebbe addirittura detto ad un di questi: "Ma lei è sicuro di essere un giornalista?". Per dirlo lui, vuol dire che è stato toccato il fondo. D'altronde, non c'è da meravigliarsi con un Ordine nazionale che revoca uno sciopero dopo il decreto del 9 luglio che assegna agli editori 70 milioni di euro per il 2010 e altrettanti per il 2011. Forse è anche per questo che la categoria sta perdendo il suo peso nella creazione della cosiddetta "opinione pubblica". Lippmann se ne sarebbe vergognato. A ragione, visto che il "cane da guardia", ancora una volta, si è accontentato dell'osso di gomma regalatogli dal governo. Così almeno sta buono per un po'. 

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Risulta sempre più difficile coniugare le politiche tra i vari governi, tra i Paesi ricchi e quelli in via di sviluppo (come Cina e India, per intendersi), ma soprattutto dare importanza adeguata alla politiche dei governi ancora sotto la soglia della povertà.

In questo frangente la crisi economica ovviamente non aiuta. Chi dovrebbe spendere più soldi per ridurre le emissoni di CO2, paese o azienda che sia, cerca di spingere o tirare, a secondo i casi, affinché l’onere economico sia il minore possibile. E spesso le lobby industriali riescono a condizionare le scelte di politica energetica che così risulta più consona agli interessi delle classi industriali che della risoluzione dei problemi ambientali.

I cosiddetti paesi emergenti, anche se a parole (come d’altronde quelli ricchi) rimbalzano la palla su quell’occidente che fino ad oggi ha inquinato e danneggiato l’ambiente in maniera quasi irreversibile in questo ultimo secolo. Ed ora, che siamo in situazione di emergenza climatica, non vogliono sentirsi appiccicare l’etichetta dei maggiori inquinatori. Ad esempio la Cina che, oggi, è il maggior produttore di CO2, si considera solo in una fase di recupero rispetto a quanto le economie occidentali hanno fatto per tutto il secolo scorso. E lo stesso discorso vale, ad esempio, anche per l’India. Negli incontri ufficiali e nelle dichiarazioni pubbliche nessuno ormai si tira indietro rispetto ad impegni sulla riduzioni delle emissioni di gas serra, alla lotta la global warming, all’impegno a evitare il climate change. Poi nelle scelte politiche quotidiane ognuno bada ai propri interessi economici e così, al momento di fissare soglie, scadenze e sanzioni precise, allora vengono fuori i se e i ma. Addirittura l’attesa svolta di Obama, ha creato delusione nell’ultima riunione del G8 a L'Aquila dove il peso della diplomazia avrebbe dovuto almeno condizionare l’andamento e la conclusione del summit invece deludenti, anche per il mancato supporto Usa che molti si aspettavano piu' incisivo. Più di un osservatore ha rilevato con disappunto che, nonostante le buone intenzioni dichiarate da Obama, anche lui sembra voler evitare di prendere impegni specifici con date, limitazioni e sanzioni unanimamente concordate.

Non tutti credono che ciò sia possibile, le precedenti riunioni del G8 non hanno portato a nulla e non ci sono segnali che le posizioni possano essere per incanto ribaltate.

E necessario che il controllo dei cittadini sulle scelte e sull’operato di chi si appresta a decidere cosa ne sarà del nostro futuro e di quello della Terra sia piu’ incisivo e diretto, magari utilizzando la tecnologia attualmente disponibile e a basso costo come il web.
La dimensione collaborativa del web permetterebbe di coordinare sforzi di raccolta dati e conseguente comunicazione pubblica difficilmente realizzabili senza queste tecnologie, mettendo nelle mani dei cittadini preziose opportunità di lettura della realtà. Ciò risulterebbe un brillante esempio di controllo democratico rovesciato, in quanto permetterebbe di navigare facilmente attraverso i registri dei parlamentari e di commentare tutte le discussioni, nonchè ricercarle e ritrovarle in futuro con un link unico. Non solo, potrebbero essere anche disponibili statistiche, ad esempio, sul deputato che ha votato più spesso contro il proprio partito, o su quelli che intervengono più spesso o presentano il maggior numero d'interrogazioni, e così via.

MAIELLARO

Anonimo ha detto...

per Michele:

Come darti torto. I giornalisti da cani da guardia della democrazia sono diventati i cani da passeggio dei politici. E i contributi statali all'editoria, metaforicamente, sono la pappa che il padrone dà loro. A chi verrebbe ancora in mente di procacciarsela, la pappa? L'unico esempio serio credo sia il neonato "Fatto Quotidiano" di Padellaro, a cui collaborano Travaglio, Beha, Gomez, etc.etc.
Date le premesse, speriamo riesca nel suo (difficile) intento.

GPetri