sabato 19 giugno 2010

I mondiali ai tempi della globalizzazione


Rimane ancora la ferita per colpa di quei "ridolini" (come li definì Valcareggi, allora nello staff del ct Edmondo Fabbri), quella Corea del Nord che nel 1966, per opera del dentista statale Pak Doo Ik, mandò a casa la nostra nazionale. Il risultato fu che per quasi vent'anni, il mercato calcistico italiano - come per una sorta di forzatura statalista nell'economia - fu chiuso agli stranieri: i club non potevano acquistare giocatori che avrebbero fatto le fortune delle nazionali altrui.

Adesso, a 44 anni di distanza, in Sudafrica, c'è una "Corea del Nord" in ogni girone ed in ogni giornata. La Germania - l'invincibile armata del 4 a 0 all'esordio - si è piegata come un esile fuscello alla Serbia. La Svizzera (non il Brasile, con buona pace per gli elvetici), ha fatto a fettine la Spagna campione d'Europa. La Francia dell'odiato Domenech, dopo l'ennesimo sberleffo altezzoso dell'esibizione della nostra coppa del mondo (vedi l'ingrato Vieira, uno che ha mangiato per molti anni in Italia, senza giocare neppure tanto negli ultimi anni), può rimanere in Africa solo per qualche safari (magari riescono a fare almeno qualche bella foto).

I "ridolini", come si può notare in questa edizione del mondiale, sono aumentati. La gran parte giocano in Europa, nei nostri club. Le loro nazionali, in alcuni casi, sono allenate dai nostri ct. E non si può fare più come nel 1966: non si possono chiudere le porte della globalizzazione, né nell'economia né nel calcio. L'unica soluzione è non fare come Raymond, lo spaccone che se ne va con la coda tra le gambe.

nella foto, il gol di Pak Doo Ik, che in realtà faceva l'istruttore di ginnastica

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